Vladimiro Dijust é nato nel 1963 a Staranzano dove tuttora risiede. Fin dall'adolescenza instaura con l’arte rapporti fitti tali da spingerlo a frequentare l’Istituto d'arte Max Fabiani di Gorizia. Del periodo scolastico incidono in particolare nella sua formazione due insegnanti : Cesare Mucchiutti e Tino Piazza. Ha la fortuna dì instaurare un rapporto amicale con il compagno dì classe Mario Di Iorio, artista prematuramente scomparso, che, col suo astrattismo geometrico ed espressionismo astratto, provoca in Vladimiro vive emozioni. In questi ultimi anni consolida la sua ricerca artistica in particolar modo nel campo pittorico sperimentando forme e tecniche nuove. I suoi lavori presentano un gioco vivace di segni e colori che agiscono sulla tela per raccontare momenti di vita vissuta, stati d'animo e in particolare la gioia di vivere. Il segno lascia sulla superficie impronte forti che si sposano armoniosamente con colori decisi dove il bianco assume il ruolo di elemento di contrasto. Nella sue composizioni non vi sono zone di riposo, tutto è movimento, l'opera vibra e dona una sua armonia creando un rapporto intimo tra pittura e musica.
Giorgio Della Libera
La dissoluzione dei canoni
Davanti ad un'opera d'arte è sempre forte la tentazione di inquadrarla in una corrente storica. Spesso questa tendenza è legittima e, diremmo, naturale. Talvolta, però, queste strade per le classificazioni non sono molto agevoli da percorrere proprio perché le contaminazioni possono essere molteplici e insidiose. Nel caso di Vladimiro Dijust alcune influenze dell'ultimo dopoguerra sono indubbie ed evidenti di per sé. Premesso che ogni forma espressiva fa riferimento a se stessa al punto di essere imparagonabile ad altri canoni di estetica, l'accostamento all'Art Brut appare tuttavia nella sua evidenza. Una dicitura presa a prestito dal francese che potremmo tradurre con 'arte grezza', ossia priva di quelle fondamenta su cui storicamente ha poggiato la tradizione figurativa, tutta ordine e proporzione. Outsider Art è, invece, la definizione anglosassone del medesimo termine, più vicina ad un significato che rimanda all'oltre, a ciò che si colloca fuori da un ipotetico 'recinto' convenzionale. In entrambi i casi, il dato che ci perviene è quello di una rottura, di un'assoluta liberazione da un vincolo, dall'imposizione di una maniera. E qui, se è plausibile sostenere a ragion veduta questo accostamento, è altrettanto vero che le diramazioni di questa tendenza sono molteplici, a partire dagli inizi del secolo scorso quando l'arte si sconfigura e frammenta deliberatamente sotto l'influenza dell'Irrazionalismo e delle scuole di pensiero franco-germaniche. Un salto temporale che dai prodromi del cubismo giunge fino all'arte metropolitana dei cosiddetti writers con la street art presente ai giorni nostri, e che possiamo 'ammirare' nelle stazioni ferroviarie o lungo i muraglioni dei viali delle periferie. L'Art Brut è abbandono della religione della forma e, se vogliamo, di se stessi. Dal punto di vista psicologico è interessante il parallelismo con la dimensione prelogica, ovvero quella che precede il raziocinio, quale oggetto di studio ponderato che sollecita ancor oggi molte teorie contrapposte. Il pensiero prelogico, affine ai processi psichici a carattere intuitivo, di per sé evidentissimo nei primi sette anni di crescita dei bambini, secondo alcune ipotesi accreditate non svanisce con l'età adulta ma, viceversa, permane sopito in un angolo della Coscienza che lo preserva come un dato acquisito. Quale sarebbe, dunque, la sua importanza? La risposta appare scontata. Quella di rivelarsi fonte inesauribile della capacità creativa oltre la dimensione conscia del controllo e della ordinata pianificazione. Una possibilità che – per un artista – si rivela più che utile, preziosissima.
Giancarlo Bonomo
Le visioni immaginarie
Che le dimensioni immaginativa e visionaria siano la costante dell'indagine del pittore, è certo un'osservazione incontrovertibile. Nulla di ciò ch'egli raffigura pare avere un collegamento con il reale, fatti salvi alcuni indizi che – nel mosaico compositivo – agevolano lo sguardo nella comprensione degli intricati labirinti cromatici e lineari. Ci sono certamente degli appigli, delle tracce da seguire, ma il grosso del lavoro è puramente intuitivo. Non potremmo descrivere delle vedute aeree quanto, piuttosto, delle fantasmagoriche visioni dall'alto, simili a riprese satellitari, che rimandano ad un mondo irreale di incastri e arditi accostamenti di linee e cromie non riconducibili ad alcuna mappa veritiera. Nelle sue composizioni bidimensionali, dove il colore non è mai risparmiato, curiosamente siamo smarriti nella ricerca del consueto, del logico ma, nel contempo, rimaniamo ammaliati da qualcosa che riconosciamo come appartenente alla nostra sfera più intima e segreta. Un codice che intuitivamente percepiamo con radici ancestrali molto profonde nei territori più fertili della nostra capacità immaginativa. Certamente è la struttura di un linguaggio che comunica, eccome. Ed è strano, in queste inconsuete 'finestre' visionarie, non avvertire un senso stucchevole di eccesso, di 'saturazione' dei sensi. Tutt'altro. Ogni lavoro ha un suo equilibrio, una direzione di giusto compromesso. I colori interagiscono fra loro ma non stridono. Fossero equiparati a suoni di un'orchestra, non si udirebbero note stonate. Questo, anche in virtù del fatto che Dijust è uno straordinario colorista per dote innata prima ancora che per studi preacquisiti. Ed è un privilegio, per noi che guardiamo, entrare in questa dimensione che aggiunge vitalismo all'esistenza, colore acceso alla banalità convenzionale. Quando il nostro artista scende dall'alto per contemplare le città da vicino, la maniera non cambia. Quell'energia vitale permane. Le chiese, gli edifici, le semplici case, assumono una connotazione diversa, inusuale. Non sono più mura anonime, facciate fatiscenti magari di un centro storico o di una triste suburra. Il pennello di Dijust diviene, allora, una bacchetta magica. Tutto si trasforma in vita, dinamicità, luce. Non vi sono coni d'ombra o inquietanti aree di buio, né discromie od incongruenze. L'insieme è parificato (e pacificato) in un unicum che si traduce in compattezza ed uniformità dietro quella semplicità che potremmo anche intendere come complessità risolta. E qui, davvero, il mondo è luminosa volontà di rappresentazione, per parafrasare un celebre assioma filosofico.
Giancarlo Bonomo
Mostre personali recenti
2011
Galleria Comunale “Antiche Mura” , dal 14 al 20/10/2011, Monfalcone (GO)
2012
Personale , Sala Municipio, Staranzano (GO)
Personale “Sensazioni…emozioni di colore…” Caffè Carducci, Monfalcone (GO)
2013
Personale, nell’ambito delle “Sagra delle Raze” di Staranzano (Go)
Personale, “Animali e paesaggi”, Sala espositiva Municipio, Staranzano (Go)
2014
“Le città colorate”, Personale, Sala dei Tigli di Fiumicello (Ud)
2015
Personale, Villa De Finetti di Corona-Mariano del Friuli- (Go)
Personale, Caffè Massimiliano, Cormons (Go)
"Dreams and visions in Venice", collettiva d'arte contemporanea, Scoletta di San Zaccaria, Venezia
Personale "Animali e paesaggi", Villa Chichin, Staranzano GO
2018
Mostra Personale "Attraverso il colore...informale ma non solo", Sala Consiliare di Turriaco (Go)
2020
Mostra Personale "Fantastic Fly" Convento di S. Maria In Valle, Cividale del Friuli (Ud)